Da troppo tempo ormai questa Parola mi risuona nel cuore e molto
più nella testa. Come una pentola che bolle sul fuoco in attesa di cucinare
qualcosa e che ha troppa acqua dentro: finisce per traboccare! Così per me,
attraverso questi anni che scorrono nella mia vita, tra tantissime e per nulla
scontate vicende, quanto mi rimane di questa Parola non riesco a farla morire
nel silenzio del mio essere donna consacrata, contemplativa Carmelitana o
semplicemente una persona qualsiasi delle tante che un bel giorno ha trovato
dentro e fuori di sé Qualcuno che le ha cambiato la vita. Così oggi comincio a
lasciare che questo mare che a volte mi attraversa dolcemente e a volte mi
travolge con sentimenti contrastanti tra di loro, tra una istintiva reazione
critica e polemica che rovescerebbe non solo i tavoli come ha fatto Lui ma
distruggerebbe in pochi attimi anni e anni di misericordia ricevuta e donata, e
la passione che senti ancora dentro di poter dare ancora la vita, per
quell’Amore più grande, per gli amici, quelli che Lui ( e tra questi ci sono
anch’io ) ha deciso di chiamare così, “amici, non servi, non serve” e che solo
nella relazione d’amicizia sperimentano quanto è bello che i fratelli vivano insieme.
Sto parlando della mia vita, ma lo faccio così, quasi con la
presunzione di averla sperimentata un po’ in diverse situazioni, cercando di
mettere insieme riflessioni, analisi, e conclusioni sempre aperte a nuove e
ulteriori riflessioni, che non servono a nulla e forse a nessuno ( anche perché
il mondo è già pieno abbastanza di sociologi, psicologi, psichiatri,
giornalisti dell’ultimo scoop accattivante e per nulla veritiero, il più delle
volte , sbattuto sotto gli occhi di chi non può documentarsi, con il solo scopo
di ferire le coscienze e senza essere più in grado di sapere se ne abbiamo
ancora una! E non parliamo poi delle indagini di certi media, che sembra quasi
non riescano più a dormire e a mangiare perché il loro tempo è totalmente
dedicato a quanto succede in questo mondo religioso così oscuro e affascinante
al tempo stesso!)
La clausura, la vita consacrata, la vita religiosa!
Questa vita così lontana (almeno nella stragrande maggioranza dei
casi!) da ristoranti, cinema e discoteche, lontana dalle corse quotidiane per
il lavoro, a causa dei figli da accompagnare alle varie attività, dai problemi
difficili da gestire quando non si arriva a fine mese e non si ha una casa o un
lavoro stabile, da malattie che scoppiano all’improvviso e ci cambiano la vita!
E una vita fatta di giornate di silenzio e di umili lavori, di ritmi lenti e di
pasti presi rigorosamente insieme, di risate e di lacrime condivise sempre
dentro una stessa casa, dentro la stessa famiglia, che non hai scelto, ma che
ti è stata data!!! E poi c’è la preghiera, ah, quella cosa così marziana che si
chiama preghiera: che noia passare tanto tempo a pregare! Ma poi chissà
perché...viene il momento che
magari un pizzico d’invidia per quella cosa là viene
a tanta gente e allora con discrezione, una piccola richiesta viene fuori,
anche in forma anonima, e si bussa alla porta di un convento o ci si affaccia
in chiesa quando non ci sono funzioni religiose e si accende una candela,
per-ché anche se non ci si crede poi tanto, magari funziona! Oh si, questo
strano mondo fa discutere molto!
Ecco, a me piace lasciare che l’acqua dentro
di me continui a bollire e magari trabocchi …fino a quando non ne avrò più
bisogno!
Questa vita! Vista da fuori...è pazzesca! Vista da dentro...lo è
molto di più! Ma quando si è fuori, quando scocca quella scintilla che
chiamiamo vocazione, ma che vocazione diventa solo man mano che la vivi, anche
per 70 e più anni di fila, ti sembra un paradiso, una bellissima spiaggia sulla
quale arrivare a fare una vacanza un po’ più lunga che magari desideravi fare
da tanto tempo...e come dice il proverbio, tutte le strade portano a Roma, così
anche quella monastica prima o poi in paradiso ti ci porta magari passando per
il purgatorio in terra!
Da quasi 40 anni non faccio altro che leggere documenti della
chiesa, del nostro ordine religioso, studi specifici di alcuni specialisti su
tanti ambiti, sociologici, moralistici, psicologici e quant’altro. Tutto serve
e aiuta. E ringrazio di cuore quanti fanno questo servizio. Ma a volte...pare
che così dicono i latini...che ripetere sempre le stesse cose aiuta ...ma noi
diciamo pure che... stufa! Quello che più di tutto salta agli occhi alla fine
della lettura è quasi sempre la stessa domanda che nasce spontanea: ma tutti
questi che parlano e scrivono, in bene o in male, di noi, la nostra vita
l’hanno mai vissuta? Beh, io questo vantaggio ce l’ho: ci sono dentro e ci vivo
e ci voglio continuare a vivere! Però andiamo, questa frase pasquale che il
Signore ci ha lasciato più di 2000 anni fa non è disusa, non è da aggiornare,
non ha bisogno di testi e pagine scritte, tali da riempire un oceano di carta! E' già tutta piena e chiara.
Perché abbiate in voi la
Vita e la vostra gioia sia piena!
No, questa è l’unica Parola che Lui continua a dire, continua,
oserei dire, a dare e a fare, non solo nella mia vita, ma nella vita da tanti
uomini e donne che in ogni parte del mondo hanno ricevuto questa vita e
vogliono viverla nonostante le crisi, gli scandali, i numeri negativi, la
società secolarizzata, il fallimento o meglio la poca stabilità e le crisi in
corso nelle famiglie, nelle scuole e nelle parrocchie! Quando questa mia vita è
cominciata avevo 29 anni appena compiuti. Una scelta che tutti quelli che mi
conoscevano e soprattutto la mia famiglia hanno giudicato da manicomio! Tranne
uno! Uno solo mi ha detto queste parole:<< mi fido di te! So che se
questa vita non ti darà vita, tu la lascerai e ne vivrai un'altra>>!
Oggi, dopo tutti questi anni posso dire che non ho nessuna intenzione di
viverne un'altra, che tante persone hanno fatto di tutto e di più perché la
cambiassi, ma questa Vita mi è stata data e nessuno me la toglierà. Mi è stato
tolto tanto, non una volta, ma diverse volte: casa, sorelle, luoghi, affetti,
stili diversi, lingue diverse e culture opposte, ma nessuno mi ha tolto la
vocazione, questa parolona così strana che se la capissero bene anche oggi
tanti giovani direbbero semplicemente...Wow! E con queste tre lettere direbbero
in un attimo quello che noi non riusciamo più a dire: <<È bello per
noi stare qui!>>
Ai miei nipoti, parenti o
conoscenti e anche a qualche amicizia un po’ speciale che continua a sentirmi
parte della sua vita, quello che piace di più è il paesaggio. A volte piace la
chiesa, il monastero visto dal di fuori o la foresteria funzionale. Venendomi a
trovare (in genere i monasteri sono costruiti su posti bellissimi e hanno il
loro inconfondibile fascino diviso tra natura silenzio e pace di cui da sempre
e per sempre ogni essere umano si sente attratto...almeno per un giorno!) e tutti
mi dicono: che bello vivere qui! Ma quando ci incontriamo, mi chiedono come sto
fisicamente, come sto con le sorelle e come stanno loro con me... se ho bisogno
di qualcosa, se possono fare qualcosa per noi, parliamo e condividiamo gioie e
dolori di entrambi, loro mi raccontano la loro quotidianità che oggi più di
sempre è piena di difficoltà e sofferenza ed io condivido spesso la mia vita.
Due mondi che s’incontrano. Perché per quello che ne so io, la vita
contemplativa è un pianeta aggiunto, un po’ diverso da tutto quello che in
genere si ha modo di toccare con mano all’interno o all’esterno della Chiesa.
L’unica cosa che spesso i comuni mortali sanno è...che le monache vivono in
clausura! Chiuse! Sbarrate! Che non fanno niente! Che non pagano le tasse! Che
potrebbero fare del bene fuori dove c’è tanto bisogno e non lo fanno! Che
insomma, più matte di così proprio non si può! Chissà poi come fanno a pregare
tutto il giorno, a non stare davanti alla televisione 48 ore su 24, a non
andare mai al mare o a sciare, a non uscire proprio mai se non per estrema
necessità! Insomma, una prigione con i fiocchi bella e buona! Perdono la
libertà, rinunciano alla carta di credito e non parliamo poi del vivere sempre
tra donne: è proprio allucinante! Ma per caso...ne vogliamo parlare? Beh, io lo
farò di sicuro qui sopra!
Mi viene in mente una vecchia canzone di quando ero giovane e che
mi piaceva tantissimo di Lucio Battisti, che diceva così:<< Che ne sai tu
di un campo di grano! Davanti a me c’è una altra vita!>>
Credo che quando si sentono dire certe cose, quando le leggi o le
senti sussurrare dietro le porte, ti viene proprio voglia di dire, anzi di
cantare: Che ne sai tu di un campo di grano!
Parliamone, perché sai, io il campo di grano l’ho visto, non in
televisione, non dalla macchina in autostrada, non sulle foto di Google o nel
cellulare, io il campo di grano con i suoi colori, il suo profumo, il suo
nascere e morire, il suo orizzonte sconfinato l’ho visto qui...in quest’altra
vita.
Ricordo ancora l’emozione del mio ingresso al Carmelo come fosse
oggi! Volevo comprare un mazzo di fiori da portare nella cappella del
monastero, ma i negozi erano tutti chiusi. Era sabato sera, in pieno inverno,
intorno a me la neve, e ricordo di aver girato, correndo, per tutto il
pomeriggio, quando finalmente ho trovato un negozio di fiori aperto. Ho
comprato 15 o 20 rose rosse (non ricordo bene, ma presi tutte quelle che
aveva!!!) e via di corsa al monastero. Ho fumato la mia ultima sigaretta (la
mia prima libertà conquistata!) E poi via, dietro una grande porta, io più
piccola della mia stessa statura, sola, davanti al pianeta CLAUSURA che si
spalanca davanti a me! Il cuore a mille! Dietro la porta una famiglia mi
abbraccia…! Quel primo abbraccio, forte e caloroso, in una lingua ancora molto
ostrica per me, quell’abbraccio io lo sento ancora sulla mia pelle, è
l’abbraccio che ti si stampa nel cuore, che ti fa sentire a CASA, che ti fa
vedere l’orizzonte di una patria che non ha confini fisici ne geografici, che
ti fa sentire quel senso di appartenenza ad un sogno mai finito di essere
sognato.
Avevo 29 anni ma mi sentivo una ragazzina al suo primo
appuntamento!!!
Scoprire il Carmelo giorno dopo giorno non è scontato! Uno può
pensare che una persona intelligente, sveglia, dopo qualche mese di vita
insieme ormai sia abbastanza in grado di poter dire: ecco, il Carmelo, la vita
carmelitana, la preghiera, la clausura, è questo!
Niente di più sbagliato. Per diversi strani giri della provvidenza
ho avuto modo di conoscere dal di dentro e a lungo, diversi modi di vivere
questa realtà; pur essendo unite dalla stessa Regola di vita, dalle stesse
Costituzioni, spesso dalle stesse tradizioni e molto di più dagli scritti e
dalla esperienza dei nostri fondatori, (purtroppo spesso molto sconosciuti
nella loro ampiezza carismatica e ridotti al solo devozionismo e intimismo
spirituale), tante comunità carmelitane vivono in tanti modi diversi lo stesso
carisma e questi diversi modi sono spesso intoccabili per la paura di perdere
quella visione quasi assolutista che ogni monastero si è fatto del suo essere”
Carmelitane Scalze” nel mondo!
Quando sono entrata al Carmelo avevo vissuto in pieno nella mia
diocesi di origine, i tentativi di incarnare nelle nostre comunità parrocchiali
le novità del Concilio Vaticano Secondo! La prima scoperta che ho fatto è stata
quella di scoprire che nel 1982 Il Concilio Vaticano II° non aveva ancora
varcato la porta di clausura! Forse non da per tutto, ma in tanti Carmeli si.
Non era colpa delle monache, ma di chi le accompagnava e guidava e che voleva
che restassero dentro uno schema visivo, tramandato nei secoli, dove la vita
religiosa femminile era gestita, ispirata, guidata da chi ne sapeva più di
loro: cioè il ramo maschile di gran parte degli Ordini monastici. Loro, i
confratelli, o I vicari religiosi della diocesi o i Superiori locali
studiavano...loro conoscevano bene le applicazioni da farsi nelle comunità
religiose su quanto il Concilio chiedeva di fare in tutta la chiesa del mondo.
Le monache...spesso non conoscevano nemmeno i testi, sembrava quasi di essere
ai tempi di San Paolo quando chiedeva ad alcuni fratelli se ...avessero
ricevuto lo Spirito Santo e si sentiva rispondere che non sapevano nemmeno che
esistesse uno Spirito Santo!!! E una delle cose che la chiesa chiedeva era
quella di aggiornare le Regole e le Costituzioni di ogni Ordine Religioso ai
segni dei tempi e al nuovo cammino della chiesa nel mondo. E così, dopo soli
pochi mesi dal mio ingresso al Carmelo cominciai a sentire parlare di…AGGIORNAMENTO!!!!
Ma oggi, dopo quasi 40 anni io lo chiamerei piuttosto
SCONVOLGIMENTO, in bene e in male. La primissima cosa che cambiò...fu la
libertà di parola, di opinione, di condivisione, la capacità di sognare! Si,
queste semplici ed essenziali parole cominciarono a far aprire le porte di una
clausura interiore, intesa come chiusura mentale, per far spazio ad un
desiderio profondo di aprirsi a quanto lo Spirito diceva oggi alla nostra vita
claustrale. Ma non solo! Anche a ciò che diceva e dice oggi a noi donne, a noi persone
umane capaci di leggere, meditare ascoltare e pregare e condividere una Parola
che la nostra santa Madre Teresa aveva accolto e trasmesso. Ancora oggi, però
si fa molta fatica nella vita religiosa a ritenere legittimo, essenziale,
questo spazio di libertà e da qui nascono tantissimi conflitti, incomprensioni,
giudizi, freddezze e diffidenze che non solo feriscono chi li vive ma
indubbiamente non testimoniano la bellezza della nostra vita e vocazione.
Comunque questo Spirito ha spalancato tantissime porte e finestre
e soprattutto ha fatto prendere più consapevolezza di quanto ci veniva donato
da Dio e che i nostri fondatori e non solo loro, ci hanno tramandato e
testimoniato con la loro stessa vita.
Non si è solo trattato di cambiare una liturgia, dal latino
all’italiano, di eliminare strutture più o meno incomprensibili ai più o di
fare di più o di meno o nuove penitenze, no! Si è trattato di rivoluzionare una
quotidianità che veniva vissuta in automatico, dall’ora x all’ora y, senza
troppe scosse giornaliere: un orario fisso che solo in pochi giorni dell’anno
cambiava, per ogni ora c’era una ben determinata cosa da fare, (insieme o in
solitudine), ogni settimana un appuntamento che somigliava un po’ a quello che
nelle parrocchie si chiamava...l’adunanza o la riunione! Ogni tre anni una
votazione, che a volte cambiava almeno in parte qualcosa nel suo esito globale,
ma che il più delle volte era scontata come risultato finale. Insomma...oggi
diremo, in termini moderni, un hard disk programmato (con un windows particolare)
dai tempi dei tempi!
Ma lo Spirito ha cambiato questi programmi: prima lo ha fatto
nella società civile, poi nella chiesa e poi è arrivato anche da noi, dentro
una semplice porta aperta, forse l’unica e anche quella non molto aperta, che
però cominciava ad aprire la mente: la biblioteca e la predicazione dei
confratelli o comunque di alcuni sacerdoti che venivano chiamati per la
formazione delle monache!
Nella vita civile si cominciò tristemente a vedere il crollo della
famiglia, non solo perché l’aborto e il divorzio ormai avevano cambiato tutto
ciò a cui eravamo stati abituati, noi generazioni precedenti! Mi riferisco in
particolare alla capacità che i nostri nonni e nostri padri e madri avevano
avuto con la loro determinazione e unione, di ricostruire un paese totalmente
distrutto dalla guerra, dove si vivevano alcuni valori, che per la maggior
parte di loro nascevano e si trasmettevano grazie alla propria fede e credenza
religiosa, e che saldavano in forma stabile una famiglia; non c’erano molti
disoccupati, nei campi, nel mare o nelle fabbriche o con l’emigrazione di cui
oggi ci siamo tutti dimenticati, un pezzo di pane guadagnato col sudore della
fronte riuscivi a portarlo a casa e le nostre mamme sapevano bene come tenere
in ordine una casa e mantenere decorosamente, anche nella povertà, non un
figlio o due, ma il più delle volte erano poco meno di cinque o sei, le bocche
da sfamare. Questo vita semplice, che col progresso moderno e con la
globalizzazione incalzante è sparita totalmente dalle nostre città, ha
distrutto i rapporti. Oggi non si cresce più litigando tra fratelli e sorelle
ma annoiandosi a morte e procurandoci a qualsiasi costo un nuovo cellulare, un
video gioco della stratosfera, un briciolo d’erba da fumare o nei casi peggiori,
qualche pastiglia per sballarsi quel tanto da far passare il tempo più in
fretta. Ormai i social sono la nostra famiglia e la nostra quotidianità! Questo
dramma con le sue conseguenze ha violentemente sfondato le porte di tante
famiglie e ha messo genitori e figli davanti ad una realtà impensabile prima: i
soldi non bastano più, crescono le esigenze, lo stato fa pagare troppe tasse,
uno stipendio non basta più, il lavoro non si trova, i laureati sono a spasso
perché non riescono a trovare un lavoro stabile con il quale progettare un
futuro i governi e la politica fanno schifo e sono corrotti e la chiesa è piena
di scandali! La violenza è diventata l’aria che si respira ogni giorno.
E i giovani (e anche i meno giovani!) hanno tristemente smesso di
sognare.
Nei monasteri questa percezione di una disfatta epocale è arrivata
quasi sussurrata: le poche vocazioni che si affacciavano avevano (ed hanno!)
grossi problemi esistenziali, molti avevano vissuto la drammatica esperienza
della separazione dei genitori, spesso erano figli unici, da un punto di vista
umano-pratico ciò che le caratterizzava (e le caratterizza!) era una
immaturità di gestione personale della propria vita e questo diventava come un
fardello enorme da portare nel discernimento vocazionale, l’esperienza sessuale
e le unioni fallimentari ponevano dei problemi personali che solo decine di
anni prima era impensabile immaginare. Le comunità che cominciavano ad avere un
età media piuttosto alta e che speravano di affidarsi alle nuove vocazioni come
ad un naturale ricambio generazionale erano (e spesso lo sono ancora!) incapaci
di fare seri discernimenti vocazionali con il rischio molto concreto di
approvare vocazioni che non erano certo chiamate alla vita religiosa e meno che
meno a quella contemplativa. Quante delusioni e quanti cammini difficili da
percorrere prima di arrivare alla conclusione di un qualsiasi cammino
formativo.
Eppure, qualcosa fermentava sempre nelle comunità ed impediva di
lasciarsi andare alla convinzione che pian piano la vita contemplativa, di
clausura o meno, sarebbe sparita dalla faccia della chiesa...e dalla terra!
La “gioventù “che cominciava a cambiare i monasteri era ed è
quella più appassionata e che non si caratterizza per l’età! Sorelle di oltre
80 anni hanno accolto con entusiasmo e fiducia questo vento dello Spirito che
si affacciava in clausura. Come? Ora cerco di spiegarlo! Come ho detto prima,
il primo cambiamento è iniziato con la libertà di pensare...diversamente e
anche molto diversamente… dal come si è “sempre detto e sempre fatto” così, nei
tempi antichi. Leggere oggi, alla luce delle varie discipline che la scienza e
la letteratura religiosa hanno portato avanti nel tempo e che sono ormai alla
portata di tutti o quasi (specialmente di chi acquisisce oggi un titolo di
studio superiore), la stessa Sacra Scrittura, non aveva più la stessa risonanza
che poteva avere 50 o 70 anni fa nelle nostre comunità. Perché quelle Parole
che per 7 volte al giorno e anche oltre, proclamavi col canto o con la
recitazione (spesso quasi a memoria!) nella liturgia personale e comunitaria
cominciavano ad abitare la nostra giornata e la nostra vita in modo nuovo. Sono
innumerevoli gli esempi che si possono fare per descrivere questo cambiamento,
ma alcuni in modo particolare li voglio mettere in evidenza. Nelle nostre
comunità monastiche, la meditazione o lettura spirituale è sempre stata un
esercizio personale, molto intimo, a volte del quale non si parlava mai o al
massimo se ne parlava nel così detto “foro interno”, cioè in confessione, col
direttore spirituale o nel migliore dei casi, nei colloqui con la Madre Priora,
quando avvenivano regolarmente. Ma col nuovo vento dello Spirito, in tantissime
comunità monastiche, la lettura spirituale dei nostri santi o della sacra
scrittura cominciava a diventare una condivisione in uno dei momenti più
significativi della vita monastica: il Capitolo Monastico o riunione
comunitaria settimanale. A volte la Priora chiedeva per un certo tempo di
meditare sopra un determinato brano biblico o su una pagina degli scritti dei
nostri fondatori e quando ci si incontrava, ognuna liberamente e con semplicità
condivideva quello che le era maggiormente rimasto dentro dalla lettura o dalla
riflessione personale dei brani proposti. Questo piccolo cambiamento nella
riunione comunitaria ha avuto dei risultati davvero insperati. E col tempo è
diventata una realtà molto consolidata nella vita monastica. Ha indubbiamente
aiutato nel cammino di fraternità e conoscenza reciproca, arricchendo le
singole persone della vita delle sorelle con le quali si condivideva la vita
quotidiana e facendo uscire, all’interno della comunità, da un intimismo a
volte molto esagerato per favorire una nuova spiritualità condivisa. Questo non
sostituiva in nessuno modo la meditazione personale o lectio divina propria di
ogni singola religiosa, ma la apriva ad uno sguardo mentale più ampio del
proprio piccolo orizzonte. Tutto questo, nella vita della chiesa del dopo
concilio, nelle parrocchie e nei nuovi gruppi giovanili dei vari movimenti, era
una consuetudine normale. Ma nei monasteri, salvo poche eccezioni, credo lo sia
diventata solo dopo gli anni 80.
Altro cambiamento importante è stata l’importanza della persona
umana prima della futura religiosa. Qualcuno, nei nostri ambiti religiosi, ha
pensato che sia stato l’inizio della distruzione del voto di obbedienza, ma non
era e non è così. I nuovi documenti che i vertici della chiesa e del nostro
ordine ci chiedevano di leggere e discutere e anche da approvare, mettevano
chiaramente la persona al primo posto, la sua dignità, dentro un percorso di
cammino vocazionale. Ma la resistenza era ed è stata tanta ed oggi, grazie a
Dio, credo che da nessuna parte al mondo si chieda più ad una donna che è
dentro un percorso formativo, di rinunciare ad essere pienamente sé stessa per
essere una icona dei nostri santi! Quello che oggi si chiede ad ogni religiosa,
come del resto ad ogni cristiano, è un cammino di conversione, che parte dalla
conoscenza di sé, nel bene e nel male, con i talenti ricevuti e con i propri
difetti o attraverso le cicatrici delle ferite che la vita non risparmia a
nessuno, per confrontarsi con il Vangelo prima e in seguito con l’esperienza
carismatica del proprio ordine che intendiamo perseguire con la chiamata
vocazionale. Quando San Paolo chiede ai cristiani di rinnovarsi nella propria
mente penso che intendesse proprio questo: lasciarsi illuminare da questo
cammino di conoscenza di sé stessi per scoprire il fine a cui tendere con
l’esperienza monastica contemplativa della relazione con Dio e con le sorelle.
Questo è un cammino affascinante e doloroso al tempo stesso, molto realistico
eppure contemplativo. Quando nelle nostre comunità si propone qualcosa di
nuovo, dal metodo del suono delle campane o dal che cosa cantare alle lodi o alla
Messa, ci sono sempre delle ottime e grandi discussioni che ruotano in genere
intorno a questi due poli: abbiamo sempre fatto così oppure facciamo
cose nuove per le eventuali vocazioni che verranno. E chi la dura la vince,
in genere, cioè chi ha più autorità o più dialettica, risolve la questione. Ma
molto raramente viene analizzato in profondità quel “si è fatto sempre così” e
il suo perché e per come, e peggio non si pensa molto a ciò che si vuole
cambiare perché è sufficiente che altre comunità fanno questa cosa o che
l’abbia raccomandato qualche padre o madre autorevole, per procedere al
cambiamento e all’introduzione della novità!. Insomma, a volte devi combattere
contro le ragnatele del tempo e altre contro la moda del giorno! Ma per fortuna
c’è sempre qualche voce fuori campo che chiede di più e meglio! E questo
proprio grazie alla sana libertà interiore che abita le nostre comunità ogni
giorno di più. Infine altra cosa importante che pian piano è cresciuta come una
pianta silenziosa dentro i monasteri è stata la scoperta della bellezza della
povertà intesa come condivisione di vita. E’ vero che i religiosi e le monache
in particolare abitano in case che sono dei castelli, che hanno parchi e
giardini immensi di cui godere, che non devono sbattere la testa dalla mattina
alla sera per pagare l’affitto e le bollette (anche se in tantissime parti del
mondo questo accade nei monasteri come per tutti i comuni mortali e la povertà
anche materiale è molto forte!) ma le monache in particolare sono molto amate
dalla... Provvidenza! Tutto ciò che hanno non appartiene a nessuna in
particolare ma è un bene di tutte! Questo può essere scontato dato che
liberamente si è fatto un voto solenne di povertà, ma non sempre è stato così!
Una volta anche nei monasteri c’era una certa graduatoria: non erano tutte
uguali! Il Concilio ha tolto queste differenze, ha fatto capire che la comunità
è una famiglia, dove c’è rispetto, dignità, uguaglianza, condivisione, cura
reciproca e senso di appartenenza. Quei beni che Dio ti ha affidati, un giorno
ti verranno richiesti, e come il vangelo dei talenti insegna, ognuna di noi è
chiamata a custodire, migliorare, lavorare con le proprie mani quel pezzettino
di terra che un giorno dove tu hai seminato qualcun altro troverà i frutti e li
raccoglierà. Questa scoperta riscoperta evangelica è frutto di un cammino di
conversione dove l’egoismo, l’egocentrismo, l’individualismo ha messo in
evidenza che i poveri non sono solo fuori dalla porta ma ci sono anche dentro
casa, perché quello che io ho e che mi è particolarmente caro, una altra
sorella forse non ha la fortuna di averlo e forse se io lo condivido si è
felici in due invece che da soli! La solitudine è un aspetto così grande della
nostra vita che diventa bellezza solo nella misura in cui dentro la mia vita
quotidiana c’è tanta gente! E’ un paradosso ma è così! C’è gente per cui
pregare, c’è gente per cui cucinare o cucire, c’è gente per cui seminare
nell’orto e per le quali fare la lavatrice e stendere il bucato, c’è gente da
festeggiare per un compleanno o da sostenere nei momenti difficili, insomma,
tutta questa “gente” è la famiglia, quella che Dio mi ha dato, quella che ho
lasciato o quella che ho incontrato e quella che conosco solo dai media! Sono
loro che riempiono quella solitudine abitata che 24 ore su 24 vive con me. Sono
molto legata a questa famiglia, perché solo attraverso di lei ogni giorno la
povertà diventa patrimonio immenso che continuamente circola nell’unica banca
che non fallisce mai su questa terra: quella dell’Amore, quella che resta,
quella di cui forse un giorno troveremo l’estratto conto in paradiso e anche se
ci saranno delle cifre in rosso sono sicura che per quel piccolo segno bianco
scolorito che magari si vedrà molto poco, sarà valsa la pena di affidarle la
mia vita e di essere stata accolta nella Sua!
Ecco, libertà interiore, capacità di sognare in grande, volontà di
rinnovamento mentale, capacità critica di ricerca personale e comunitaria,
condivisione de semplicità di vita nel rispetto e nella valorizzazione della
persona, povertà che diventa patrimonio di tutti e di nessuna in particolare,
questi sono solo alcuni degli aspetti che dentro la clausura il Concilio e il
soffio dello Spirito Santo hanno di fatto fare “un salto” nel muro di cinta e attraversato le grate di ferro
per spalancare le porte ad una realtà monastica che ancora oggi è conosciuta
solo da pochi, anche all’interno della stessa chiesa.
C’è ancora una cosa che caratterizza fortemente l’esperienza
claustrale ed è la semplicità.
A volte mi piace ripetermi alcune frasi del vangelo così come
fossero un ritornello di una canzone; avrete cento volte tanto, siate semplici come
colombe, voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo, guardate
gli uccelli del cielo, cercate il Regno di Dio, ad ogni giorno basta la sua
pena, perché GRANDI COSE HA FATTO PER ME IL SIGNORE!
In quasi 40 anni di vita claustrale ho toccato con mano, nella mia
vita e in quella di tante mie sorelle, la verità di queste parole e la
semplicità che portano nelle mie giornate
Ecco uno parte dall’esperienza del distacco, da un lasciare tutto
e tutti per poi ritrovarsi a cantare e ringraziare per quanto gli viene dato. E
non sarà mai abbastanza grande e immenso il mio e nostro Grazie!
Però uno potrebbe anche chiedere: Ma almeno qualcosa di cui
lamentarsi e per il quale proprio non c’è nulla da ringraziare, ci sarà pure in
monastero?
Eccome se c’è!
Ma per far capire la bellezza di una vita, la verità di un ‘ esperienza,
non si può e non si dovrebbe mai partire dal negativo perché invece che far
fiorire la gioia potrebbe esplodere solo la depressione e la rabbia! Mi viene
in mente la classica immagine di una mamma in attesa del suo bambino! Se
aspettare la vita dentro di te significa concentrarsi sulle nausee, sulla
pancia che cresce e il corpo che si deforma, le notti insonni, i dolori del
parto, le litigate col marito, i pianti e le paure di non farcela, e chi più ne
ha più ne metta, penso che questi benedetti 9 mesi ci farebbero vivere giornate
d’inferno pazzesco.
Io ho fatto l’esperienza di un parto nella mia vita. Una vita che
è stata stravolta totalmente, una vita che ignoravo completamente come l’avrei
vissuta, di cui mi ero fatta dei bei film prima di cominciare a viverla e anche
dopo! Ma la realtà, la mia realtà concreta, non è mai stata un film!
Sono una persona caratterialmente portata alla critica e per
questo è più facile bollarmi come sessantottina! Ne vado orgogliosa e non perdo
occasione per ricordarlo a chi vive con me. Anche se questo mi ha portato
sempre o per lo meno molto spesso, delle grane notevoli. All’inizio di queste pagine ho messo in
evidenza una Parola del Vangelo San Giovanni: perché abbiate in voi la Vita!
Ecco la mia critica e anche la mia consapevolezza dopo tutti questi anni di
vita al Carmelo, parte da questa Parola: abbiamo ricevuto davvero in noi la
Vita? Per che cosa entriamo, viviamo e restiamo in monastero? Visto da
fuori…qualcuno potrebbe dire che si tratta piuttosto di una morte lenta!
Qualche santa se l’è cavata con poco, 5 o 7 anni al massimo in monastero e poi
dritta in Paradiso. Una malattia, un martirio, una escaltion di virtù fuori dal
comune e vai, fine della storia in terra e gloria sugli altari immediata! Ma la
maggior parte delle persone che vive questa vocazione fa un lungo cammino e spesso
deve fermarsi per un po’ di tempo per riprendere fiato e continuare a dire al
Signore e ai fratelli. << Si, lo voglio!>>
Anch’io mi sono fermata lungo il cammino e forse anche queste
riflessioni che oggi sto scrivendo sono un modo come un altro per non lasciare
che l’acqua della vecchiaia scorra e trascini via tutto. Perché le fermate
servono anche a questo: a riprendere fiato, a riprendere coscienza, a lasciarsi
alle spalle quello che fa male e guardare davanti dove altri panorami si affacciano
al tuo sguardo.
Oggi si parla tanto di Sinodalità nella Chiesa, grazie anche a
Papa Francesco che ha promosso il Sinodo universale e in tutte le chiese
particolari si sta riscoprendo a quasi 70 anni di distanza dal Concilio
Vaticano II° questo cammino sinodale.
Ecco questa è stata una delle mie prime scoperte fatte in
monastero circa 40 anni fa: la Sinodalità comunitaria in monastero non esiste
semplicemente. E forse qualcuno potrebbe dirmi che non è essenziale nella vita
monastica, che la nostra vita è prevalentemente eremitica ( dimenticando spesso che è anche cenobitica!) che la nostra vita comunitaria è ben regolata dalle nostre
Costituzioni, che i nostri Fondatori non volevano queste complicazioni per noi
monache, che c’è una Priora e il suo consiglio e questo basta per camminare
insieme e per far funzionare il monastero!
A mio avviso non c’è niente di più falso! (Naturalmente non è così per tutte le comunità monastiche, ma nella mia povera e piccola esperienza ho trovato che...le cose spesso vanno più o meno così!)
Se davvero si osservassero le Costituzioni, se si avesse il
coraggio di approfondire veramente il pensiero dei nostri Santi, se avessimo
nel cuore sentimenti viscerali di fraternità e di condivisione, non faremo un
passo senza condividere, con il più piccolo e il più grande, l’immenso tesoro
che è stato deposto nei nostri cuori e nelle nostre vite con il dono della
vocazione monastica e, io aggiungo, carmelitana!
Perché dico questo? Faccio qualche esempio. Prima del Concilio, nelle nostre comunità c’era una distinzione di gradi e di categorie di persone.
Chi entrava in monastero poteva essere una monaca di due tipi:
suora Conversa o di velo bianco oppure monaca Corista o di velo nero. Questa
distinzione non era solo di colori diversi in testa, ma di una vera e propria
diversità di diritti e doveri. Non uso la parola “di classe” perché un
monastero non è un partito politico, ma di certo metteva in evidenza delle vere
e proprie discriminazioni o favoritismi a seconda dello stato a cui si
apparteneva. La scelta di essere l’una o
l’altra cosa non era sempre voluta della persona interessata, a volte eri
obbligata dal fatto che economicamente non avevi molto da portare in monastero
o che la tua cultura era molto semplice e povera di studi o a volte dipendeva
dal fatto che la comunità era a numero chiuso, come si direbbe ora, e le
sovrannumerarie potevano essere accettate solo come converse! Questo metteva nelle condizioni di destinare
le sorelle converse ai servizi più umili e faticosi dei monasteri, come il
bucato, la cucina, l’orto e le pulizie più faticose, mentre le Coriste erano
impegnate nel ricamo e nel cucito o negli uffici chiamati “maggiori” come
sacrestia, portineria, economia e formazione delle novizie! Per me, giovane
sessantottina, questa fu la prima cosa che mi scandalizzò fortemente. Per
fortuna scoprii subito che non in tutte le comunità si viveva allo stesso modo,
che tanti monasteri avevano cominciato la revisione delle proprie costituzioni,
dietro la spinta dei documenti conciliari, e avevano eliminato questa
distinzione mettendo in risalto l’unicità della vocazione con uguali diritti e
doveri e capacità di responsabilità. In seguito si dovette affrontare però un
bel problema pratico e concreto: Nei monasteri, con la riduzione delle
vocazioni e la conseguente sparizione dai monasteri delle sorelle Converse, non
era facile assegnare gli uffici più umili
a chi per 30-40-50 anni non aveva mai
fatto la cucina, o il bucato, non era in grado di fare un sugo o il classico
uovo fritto per tutta la comunità e meno che meno sapeva usare quel mostro
rumoroso che cominciava ad essere un componente essenziale della vita
monastica: la lavatrice!!! Non parliamo poi dell’aspirapolvere distruggitrice
del silenzio monastico! Questo, in forma minore, è ancora un problema per chi
entra in monastero: spesso le nostre giovani o meno giovani non sono capaci di una
propria vita autonoma, sia perché il consumismo ci ha abituati a prendere dai
supermercati tutto il cibo già pronto e l’usa e getta evita stress e fatiche
superflue, per cui quando le mandi in cucina...se non ci sono più le anziane figure
esperte del settore, non hanno nemmeno chi in loco possa aiutarle a fare questo
servizio! Oggi nei nostri monasteri è entrata con forza la tecnologia a
salvare…la situazione e la pelle, ma credo che nei corsi di formazione della
vita monastica si siano aggiunte delle voci prima impensabili: cucina,
coltivazione biologica, informatica o infermieristica!
Altra cosa non facile e per nulla scontata era il discernimento per il rinnovo delle cariche triennali della Priora e del suo Consiglio. Qui…il si è sempre fatto così, raggiungeva o forse ancora raggiunge in qualche monastero il suo alto grado di potenza! Un vero e proprio comitato carrieristico influenzava le “libere” elezioni per il rinnovo delle alte cariche. Una Priora stava in carica da 6 ai 12 anni a seconda di chi riusciva ad avere la dispensa nelle alte sfere Vaticane, e in ogni caso, quando finiva il mandato veniva eletta la stessa sorella che per 3 anni avrebbe dato il cambio alla precedente per poter poi riprendere il suo posto alla fine del mandato legale. Stessa cosa avveniva per il consiglio, difficilmente, a meno che non sopraggiungesse sorella morte, cambiava e questo significava che la maestra era in carica per almeno 30 anni (con la scusa che non tutti hanno il carisma per formare le novizie e quindi era meglio non cambiare e di conseguenza…nemmeno fare lo sforzo di formare una eventuale prossima formatrice per tempo!!!); stessa cosa per quanto riguarda la sottopriora o l’economa! Insomma, la vita del monastero, per un notevole spazio di tempo, in bene o in male, andava avanti con la stessa forma mentale di condurre la vita di una comunità senza troppi scossoni. Ma se per volontà di Dio, sorella morte o la malattia interrompeva questo menage a 4 o 5, allora i problemi erano forti. Chi doveva assumere la responsabilità di questa conduzione non era preparata in nessun modo a farlo, nonostante fosse in monastero da 40 o 50 anni e in pochissimo tempo l’equilibrio conventuale veniva messo in grande pericolo. Oggi, per fortuna, la maggior parte delle comunità monastiche hanno un altro modo di pensare e una delle cose che sempre più sta cambiando le nostre comunità sono le scuole per formatori alle quali finalmente anche le monache di clausura partecipano.
Ecco questi sono solo alcuni aspetti che a volte rendono la nostra vita religiosa negativa e non fanno esplodere quella VITA che il Signore ha voluto donarci, ma è già molto importante averli affrontati col tempo, aver desiderato di voler cambiare questa mentalità e aver trovato lungo il cammino fratelli e sorelle che hanno condiviso, ascoltato, accolto e fatto un serio discernimento per far esplodere di bellezza e di gioia questa vocazione. In questi ultimi anni, col suo servizio alla chiesa e al mondo intero, Papa Francesco ha illuminato e amato tantissimo il nostro cammino. Non ha mai perso occasione per orientare la vita consacrata e quella contemplativa verso lo spirito essenziale e profetico del Vangelo. Forse anche lui, negli anni in cui è stato giovane o maturo religioso ha sognato in grande una vita più vera, più autentica e più gioiosa per la vocazione religiosa. Avrei proprio un bel sogno nascosto in fondo al cuore : poterlo abbracciare una sola volta nella mia vita per dirgli solo un GRAZIE veramente forte che sento sempre più nel mio cuore per la sua parola e il suo magistero. Ma soprattutto per la sua testimonianza. So che non potrà forse mai avverarsi qui in terra, ma chissà, in cielo un giorno lo incontrerò e potrò abbracciarlo. Ancora ieri, parlando della nostra vita, diceva questo:<< Nel discernere e nell’accompagnare ci sono alcune attenzioni da tenere sempre vive. L’attenzione ai fondatori che a volte tendono ad essere autoreferenziali, a sentirsi gli unici depositari o interpreti del carisma, come se fossero al di sopra della Chiesa. L’attenzione alla pastorale vocazionale e alla formazione che si propone ai candidati. L’attenzione a come si esercita il servizio dell’autorità, con particolare riguardo alla separazione tra foro interno e foro esterno – tema che a me preoccupa tanto –, alla durata dei mandati e all’accumulo dei poteri. E l’attenzione agli abusi di autorità e di potere. >>
Ecco, essere attenti! Credo sia questa la parola
chiave, non dormire sul "si è sempre fatto così" per trascinarsi lentamente verso
una depressione che inevitabilmente ucciderà la nostra giornata e farà chiudere
i monasteri prima ancora che qualcuno venga a metterci i sigilli fuori. Ma accogliere e discernere perché il Signore continua a volerci dare LA VITA! Non
possiamo accogliere solo perché così facciamo numero e non chiudiamo il
monastero, facendo la bella faccia a chi viene ancora da noi chiamate dal
Signore come è stato per ciascuna di noi, comportandoci per qualche mese con
sorrisi e abbracci e poi chiedendo loro di essere loro ad accogliere noi in
nome di un‘obbedienza o di un distacco che non solo non è giusto ma nemmeno evangelico!
Questa è ipocrisia o nel migliore dei casi è quell’essere zitelle che Papa Francesco
ci chiede ogni volta di non essere!
Ma se abbiamo davvero il coraggio e la voglia e
il sogno e il desiderio di testimoniare con tute le nostre forze che abbiamo ricevuto
una vocazione splendida e un dono immenso e vogliamo condividerlo, allora davvero
la nostra vita sarà quel polmone verde nel mondo che darà ossigeno e speranza
ad ogni uomo o donna sulla terra.
Si, perché questa vocazione ti cambia, ti fa appunto vedere un campo di grano e un fiore che sboccia nel cuore dei fratelli facendoti responsabile della loro gioia.
Carissima sr. Maria Carmen, ho letto con passione la testimonianza della tua vita, della tua e vostra chiamata a donare tutto per il Signore. Ti ringrazio per questa condivisione così vera e bella, anche se a volte sofferta... Ma Il Figlio di Dio, lo sappiamo, si è incarnato in Gesù di Nazaret, prendendo su di sé TUTTO di noi... trasformandolo in amore puro.
RispondiEliminaE' Natale e l'accoglienza del Bamnbino di Betlemme ci riempie il cuore di gratitudine, di gioia e di luce!
Un augurio di cuore!
Luigi e Chiara
Grazie di cuore Luigi e Chiara, si il mio cuore è pieno di gratitudine e tanta pace che vorrei proprio affacciarmi alla finestra e gridarlo al mondo ! Vi abbraccio e vi auguro Buon Natale a voi e alla vostra famiglia.
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